A volte proviamo
sentimenti, emozioni, sensazioni, illuminazioni fugaci, che non riusciamo ad esprimere attraverso un pensiero razionale. Sono troppo
complessi o troppo semplici. Non li comprendiamo a pieno con la ragione, ma
ci colpiscono e non vogliamo che svaniscano all'improvviso, così come sono
sopraggiunti. E tuttavia non troviamo le parole adatte per comunicarli in
modo diretto, logico, comprensibile, chiaro.
Il rimedio che l'uomo ha trovato fin dai tempi antichi, in ogni epoca e in
ogni latitudine, è stato chiamato poesia [dal greco pòiesis, derivato di poiein: fare, produrre, creare...]. E
attraverso un'operazione che possiamo definire, per intenderci, creazione
artistica, l'uomo (o il poeta) riesce a manipolare, forzare l'uso
convenzionale delle parole, delle frasi, della sintassi, del linguaggio
verbale, nel tentativo di riuscire ad esprimere
quello che sente, di comunicare un minuscolo lampo di genio, in modo limpido,
denso, penetrante.
Ovviamente questo processo è attendibile, solo nel caso in cui ci riferiamo
alla poesia onesta. Che cos'è una poesia onesta? Il poeta U.
Saba ci viene in soccorso. Difatti in un breve saggio del 1911, rifiutato
dalla rivista “La Voce” e pubblicato postumo, Quello che
resta da fare ai poeti, scrisse che la poesia onesta è quella che non dice una sola
parola "che non corrisponda perfettamente alla sua visione". Al
contrario è poesia disonesta quella che finge passioni che non ha, e commette peccati contro lo spirito "al solo e
ben meschino scopo di ottenere una strofa più appariscente, un verso più
clamoroso".
In ogni poesia "onesta" (e riuscita, aggiungerei), alberga qualcosa
di intimo e di spirituale, un ché di indefinito e di
indefinibile, che sfugge alla razionalità dello stesso autore; ed è proprio
questo "quid" (non so che) che fa di quello che ci appare un testo
formalmente poetico, una poesia.
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