RIFONDAZIONE DELLA POESIA ?


di Enrico Meloni



L’endecasillabo è l’ordine naturale

delle parole italiane

(Ungaretti)



Non è così blasfemo affermare che il celebre rapper Eminem, vincitore di numerosi dischi di platino, abbia qualcosa in comune con antichi poeti greci come Pindaro, Simonide, Bacchilide o con personaggi dell’umanesimo. Nelle Olimpiadi, che iniziarono a celebrarsi nel 776 a. C., erano previste accanto alle classiche competizioni atletiche, anche gare di poesia. Due millenni dopo, Leon Battista Alberti, architetto e letterato, con l’aiuto di Piero de’ Medici, signore di Firenze, organizza il “Certame Coronario”, una gara poetica che si svolge a Santa Maria del Fiore nel 1441, allo scopo di rivitalizzare la poesia in volgare italiano. Analogamente, come si vede appunto nel film “8 mile”, interpretato da Eminem e ambientato nella Detroit del 1995, il rap ci propone agguerriti duelli a suon di rime improvvisate. Esse esprimono la rabbia e il malessere di chi vive ai margini della cosiddetta “società civile”, appunto al di là dell’Eghit Mile Road, strada che segna il confine tra indigenza e benessere, neri e bianchi, esclusione e attuazione del sogno americano.

Per comprendere meglio questo parallelo che può risultare singolare, proviamo a risalire alle origini. Sembra che la poesia nasca quando i nostri antenati cominciano a sentire l’esigenza di accompagnare i martellanti ritmi arcaici con suoni vocali.

La poesia rimane legata alla musica almeno fino all’invenzione della stampa a caratteri mobili, avvenuta intorno alla metà del XV secolo. Basti ricordare l’attaccamento di Petrarca al suo liuto, uno degli oggetti più cari, che viene menzionato perfino nel testamento. Nei secoli seguenti la lettura si fa progressivamente silenziosa, visiva, diviene un fatto privato e al contempo un fenomeno di massa.
Nel corso del Novecento si è vissuto uno strappo fra pubblico e autore, perché la poesia in molti casi è divenuta ermetica, autoreferenziale, indisponibile a dialogare con le aspettative di un pubblico di non addetti ai lavori. Si perde l’uso della rima, della metrica, i ritmi divengono dissonanti e i contenuti spesso indecifrabili per il lettore medio.

Negli anni ‘70 del secolo XX, nasce negli Usa l’hip hop, che rappresenta una via per salvare la comunità nera dalla disgregazione sociale, dall’annullamento delle sue radici culturali, dalla definitiva fagocitazione nel sistema mediatico dominante. L’hip hop comprende il Writing (l'arte di scrivere) il Breaking (diffuso dai media col nome di Breakdance), il Rap (parlare-in-ritmo) e il Djing (la base musicale). Il palcoscenico è la strada. I graffitisti, lasciando tracce artistiche a colpi di aerosol, si inseriscono in una tradizione arcaica che richiama i segni ancestrali dell’uomo delle caverne. I gruppi di danzatori devono stupire esibendosi in coreografie sempre più audaci, acrobazie ginnicamente spavalde, che hanno anche lo scopo di guadagnarsi il rispetto e sostenere il clan ad affermare il pieno controllo del territorio.

Il rap consiste nella capacità di saper improvvisare e recitare rime seguendo il tempo di una base. Il verbo “to rap” significa dar colpi, picchiettare, e il rap consiste appunto nel battere, scandire il tempo della base musicale con le rime e le assonanze. Si serve di strumenti essenziali (come accadeva alle origini): due piatti, un microfono ed un mixer artigianale, possono schiudere nuovi scenari. Dal punto di vista tecnico, è assimilabile alla poesia proprio perché fa uso delle stesse tecniche prosodiche. Per ottenere buoni risultati nelle improvvisazioni, nel rap come in ogni altro contesto culturale (si ricordano i poeti popolari che ancora oggi in alcune aree d’Italia improvvisano in ottava rima), ci vuole una perfetta padronanza della metrica.
A cominciare dal contesto “tribale” tutto rimanda alle condizioni originarie che hanno determinato la nascita della poesia come forma di comunicazione necessaria e connaturata all’essere umano, che coinvolge (e a volte fonde) autore e pubblico, che prende vita in un ambiente niente affatto raffinato o “colto”, che produce testi e ritmi vitali, suscitando passioni, che talvolta possono sfociare in alterchi violenti. Insomma niente a che vedere con l’idea di poesia, che molti apprendono sui banchi di scuola, come qualcosa di astruso, polveroso, distante e inutile.

Il film “8 mile” ci dice qualcos’altro che sembra avvalorare la tesi espressa nel libro di Donatella Bisutti: “La poesia salva la vita”. Il protagonista, Rabbit, (interpretato da Eminem) tenta il riscatto della propria condizione di emarginato fra gli emarginati, in quanto bianco in un quartiere di neri, inventando rime originali e in grado di esprimere in modo “fottutamente” efficace, la cruda e sporca realtà in cui si trova immerso. E’ questa passione che lo aiuta a sopportare con tenacia le asprezze, le ingiustizie della vita, e lo salva da strade tanto facili quanto pericolose, come la droga, la criminalità, la violenza delle gang.
Certo, non si può sorvolare sugli episodi violenti compiuti e subiti da alcuni protagonisti dell’hip hop, che si sono spinti fino all’omicidio. Ad ogni modo, quale che sia il destino del rap, che alcuni vedono in crisi a causa delle dimensioni del business che stravolge la purezza delle origini e incrina la credibilità dei rapper più famosi, resta valido la sollecitazione a ripensare alle funzioni, alle origini, al senso della poesia. Per rianimarla probabilmente occorre riscoprire una forma accessibile per esprimere messaggi in sintonia con il nostro tempo, nonché rivalutare il ritmo, la musicalità, il metro, la rima: tutti elementi connaturati alla lingua (come il battito del cuore all'esistenza), i quali, se opportunamente assecondati, producono l'atavico effetto di avvicinare e coinvolgere il fruitore nella dimensione vitale della poesia.


Pubblicato sul n. 28 di Prospektiva

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