GLI ANIMALI E L'UOMO |
GIUDIZI DI VIAGGIATORI EUROPEI (1642-1836) |
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1. Premessa |
Quando ha fatto la sua comparsa sulla Terra (da oltre due
milioni di anni), l'uomo ha trovato attorno a sé specie viventi che da molto
prima di lui popolavano il pianeta. Si consideri che l'origine della vita si
fa risalire a circa tre miliardi di anni fa, mentre i primi esseri
appartenenti al regno animale sono comparsi, sotto forma di organismi marini,
quasi due miliardi di anni or sono. |
Come si è posto l'uomo di fronte a questi esseri che
almeno in virtù del "diritto di anzianità" avrebbero meritato rispetto
e considerazione? Ovviamente nello stato di natura tale diritto non è
riscontrabile, mentre è chiaramente osservabile la presenza della darwiniana
legge della selezione naturale per la quale soltanto gli esseri più adatti
all'ambiente in cui vivono, imponendosi sugli altri, si garantiscono la
possibilità di sopravvivere e di riprodursi. Non sempre l'uomo ha agito nella
stessa maniera. I tempi, i luoghi e le diverse circostanze hanno naturalmente
influenzato le sue azioni; un moderno allevatore australiano e un aborigeno
di epoca anteriore alla scoperta di James Cook, hanno comprensibilmente
atteggiamenti diversi nei confronti degli animali. |
E' pertanto interessante e forse doveroso (in tempi in
cui il dilagare della tecnologia sfrenata ogni giorno di pi- mette in
pericolo l'incolumità della natura) interrogarsi su quali sono stati i
rapporti fra l'animale-uomo e gli animali propriamente detti, ripercorrendo,
fin dove possibile le epoche pi- remote per arrivare fino a noi, senza
fermarsi soltanto alle civiltà occidentali e, all'interno di questa, ai ceti
egemonici, ma cercando di indagare anche fra le popolazioni subalterne e fra
le civiltà cosiddette "primitive". |
Poiché il lavoro che poc'anzi ci si è riproposti di
attuare appare assai vasto e complesso per essere affrontato tutto in una
volta, sembra ragionevole soffermarsi su un momento di questo millenario
cammino che ha visto affiancati animali ed uomo, cercando di focalizzare un
particolare aspetto. Si è scelto di parlare della visione del mondo animale,
quale si riscontra attraverso resoconti di viaggiatori occidentali in un
lasso di tempo compreso fra il 1642 (permanenza in Canada del missionario
Francesco Giuseppe Bressani) e il 1836 (fine del viaggio intorno al mondo di
Charles Darwin). I suddetti diari di viaggio permettono di esaminare anche
come gli indigeni dei vari continenti extra-europei si rapportavano con gli
animali, essendo però consapevoli che quanto riferiscono a questo riguardo ai
nostri viaggiatori, è filtrato dalle loro concezioni e pregiudizi morali,
religiose, razziali e così via. Insomma non è possibile avere un quadro
obiettivo sul modo di relazionarsi dei "selvaggi" nei confronti
degli animali, dato che questi non hanno lasciato testimonianze scritte,
tuttavia sembra possibile usando una dovuta cautela ricavare considerazioni
degne di interesse. |
Nel presente lavoro si tenta di approfondire il modo di
porsi dell'uomo nei confronti degli animali in relazione all'idea,
naturalmente mediata dalla cultura in cui è immerso, che di essi si è
formato. Si parlerà quindi della considerazione, dell'amicizia, del rispetto,
della paura, del disprezzo e di altre possibili reazioni suscitate nell'homo
sapiens dall'incontro con le altre specie del regno animale. |
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2. Europei |
Non mancano rapporti di
amicizia o di collaborazione se non sempre propriamente libera, neanche
completamente coatta, n‚ casi in cui viene espressa una stima a volte
meritata, a volte derivata da semplice simpatia. Se ne analizzerà qualcuno,
cercando di porre l'accento sulla considerazione che gli occidentali
manifestano nei confronti delle bestie. |
In situazioni di emergenza,
quando le condizioni di sopravvivenza si rendono precarie, le barriere che
dividono l'uomo dagli animali s'infrangono e anche l'occidentale acculturato
riscopre un rapporto paritario e sente di dover esprimere la propria
gratitudine per la preziosa collaborazione. In una relazione di Padre
Brebeuf, contenuta nel libro del Bressani, si ricorda la compagnia dei cani
realisticamente e lasciando trasparire la simpatia ed il rispetto dovuti a
chi ha condiviso le stesse sventure. "Questi poveri animali non potendo
resistere al freddo, venivano a mettersi hora su le mie spalle, hora sopra i
piedi, e non havendo altro, ch'una sola coperta, non negavo loro parte di
quel caldo, che da essi ricevevo, è bè vero, ch'essendo grandi, ed in gran
quantità mi premevano spesso, e m'importunavano tanto, che dandomi un po' di
caldo, mi rubbavano il sonno, onde bisognava che spesso li licentiassi."(1)
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Giovanni Antonio Cavazzi(2) dimostra una predilezione
per gli uccelli, si ricorda ad esempio la stima che manifesta per
l'indicatore, il volatile che guida gli uomini al miele. Egli lo ritiene il
frutto della provvidenza divina, in quanto non lesina il suo aiuto a quanti,
tormentati dalla fame si trovano a percorrere lande abbandonate dell'Africa
nera. Un sentimento di amicizia concreta lo prova anche per quell'uccelletto
che, a suo dire, articola il nome di Gesù Cristo. Esso procura ai missionari "una
indicibile consolazione spirituale, e tra le dolcezze del canto, cibandosi
anch'egli di quanto gli porgevamo, e sollazzandosi nell'acqua, che avevamo
vicina al nostro Tugurio, d'indi si partiva, per ritornare il giorno seguente
(...)."(3) Anche altri autori fanno riferimento alla divina provvidenza
per spiegare alcune circostanze particolari che riscontrano nel mondo
animale. |
Altre volte il Creatore castiga gli animali
"nocivi". Ma questa credenza si commenta da sé: poiché sono opera
di Dio, non sarebbe stato più semplice allora non crearli affatto? Si tratta
di retaggi medievali, e difatti una concezione del genere si ritrova
specialmente nel missionario Cavazzi, il più vicino, sia cronologicamente che
come mentalità a tale periodo. Più spesso accade che gli animali siano
strumento di un divino castigo contro le empietà degli uomini. Ancora il
Cavazzi spiega, attraverso vicende che ne richiamano alla mente delle altre
di biblica memoria, che le periodiche invasioni di locuste, null'altro sono
che un castigo di Dio. Anche Felix De Azara(4), oltre un secolo pi- tardi
ricorda una simile credenza, ma a differenza del Padre Cappuccino il quale
mostra di crederci realmente, egli lo fa con ironico distacco. |
Tornando a discutere di amicizia sembra interessante
osservare quanto riferisce Il viaggiatore italiano Giovanni Francesco Gemelli
Careri(5), trovandosi in Messico, a proposito del rapporto esclusivo che lega
i padri Carmelitani Scalzi con due corvi "i quali non vi permettono
l'entrata ad altri di fuori: anzi subito, che i loro corbacchiotti sono in
istato di volare, ne li scacciano. Il cuoco chiama questi due corvi col
fischio; ed essi vengono, si cibano, e poi se ne vanno di nuovo nel
bosco."(6) La simpatia per gli uccelli sembra essere condivisa anche da
lui, che definisce il colibrì un uccellino meraviglioso "a cagion del
vedersi sempre in aria, succhiando i fiori, senza mai posare."(7) A tale
giudizio sugli uccelli mosca si associa con entusiasmo il naturalista
italiano Giovanni Ignazio Molina(8) ritenendoli "dei piccoli capi
d'opera della natura."(9) |
Francois Le Vaillant che effettuò dei viaggi
nell'Africa australe fra il 1780 e il 1785, oltre a dedicarsi ad una
frenetica attività venatoria, ebbe modo di stringere amicizia con vari
animali. Qui si fa un accenno alla sua piccola cagna Rosetta ed al suo
smarrimento. Il fatto stesso che l'esploratore francese parli dei suoi
animali chiamandoli per nome è indice del rapporto familiare che si è instaurato
fra loro. "La sua assenza mi pose in fastidio, ed era per me una perdita
reale (...) e mi privava della mia prediletta, che mi amava molto pur
essa." Dopo quattro ore di ricerche finalmente un Ottentotto ritrova la
bestiola e la riconduce al suo padrone. "L'uomo mi disse che l'aveva
trovata circa due leghe indietro, seduta sulla strada presso alla sedia ed al
paniere che si erano staccati dall'equipaggio, senza che vi si fosse badato.
(...) Confesserò quindi che il racconto del mio ottentotto mi commosse sino a
farmi piangere; (...)".(10) Rimane difficile da accettare una simile
reazione in un uomo il cui hobby preferito sembra essere l'abbattimento di
uccelli per la sua immensa collezione di volatili impagliati. Eppure nulla fa
pensare che egli abbia dei motivi per mentire. Più facile è ipotizzare, alla
base di un simile comportamento quell'atavica distinzione che l'uomo fa tra
animali buoni e cattivi, amici e nemici. Perché altrimenti, sempre Le
Vaillant interviene di fretta e furia in soccorso di un gruppo di gazzelle
inseguite da cani selvatici? "Balzai sul mio cavallo e lo spronai forte,
onde difendere le gazzelle e battermi coi cani".(11) |
Capita che la virtù o pi- semplicemente l'innocenza
degli animali venga posta in risalto dall'egoismo e dalle bassezze degli
uomini. E' il caso di una storiella narrata da Adalbert von Chamisso(12) su
dei maiali ed una scrofa, nella quale forse lo spirito obiettivo dello
scienziato potrebbe in qualche punto cedere il passo al condimento della
fantasia del letterato. Comunque sia, l'invidia dei marinai per le povere
bestie agisce in modo da far sembrare che questi si auto-degradino al rango
dei suini, e sia i nomi degli umani dati agli animali, sia la condanna di cui
scherzosamente si parla, contribuiscono ad accentuare la tendenza
all'omologazione: |
"A Kronstadt avevamo imbarcati porcellini d'una
razza minuta per imbandire la mensa ufficiali. I marinai li avevano
battezzati scherzosamente coi loro nomi. Il cieco destino colpiva prima l'uno
e poi l'altro come i compagni d'Ulisse, nelle persone dei loro omonimi porci.
Solo un paio giunsero fino agli arcipelaghi africani e in Brasile, da Capo
Horn fino in Cile: tra questi c'era però una porcellina che portava il nome
di Shaffecha (...). Navigò con noi verso la Polinesia giungendo fino in
Camciatca. In Asia mise alla luce la sua prima cucciolata che aveva concepito
in Sudamerica. I porcellini vennero mangiati, ma la madre proseguì con noi
verso nord godendosi l'ospitalità: a quel punto non era infatti più
concepibile che fosse ammazzata (...). Sennonché, i nostri marinai,
ingelositi dagli onori tributati ad un simile viaggiatore intorno al mondo,
cominciarono a mormorare per il fatto che una bestia, oltretutto una scrofa,
avrebbe s spartito con loro fama e gloria. (...)." All'ingresso nel
porto di S. Francisco, in California, "furono orditi intrighi su
intrighi contro Shaffecha, la scrofa: fu accusata di aver aggredito il cane
del capitano e, di conseguenza, condannata senza interrogatorio e macellata.
Quel maiale dopo aver visto i cinque continenti, vittima dell'invidiosa
concorrenza umana, si ritrovò fatta a pezzi in Nordamerica nella celeste
quiete che aleggiava sul porto."(13) (Quanto sono peggiori certi uomini
degli animali!) |
Anche il coraggio è motivo di
ammirazione, e Giacomo Costantino Beltrami14 lo rileva nel bisonte maschio,
il quale a suo dire "quando vede una delle sue favorite ferita (...)
giunge perfino a combattere, quasi per proteggerne la fuga, la ripara con il
suo corpo e le muore al fianco vittima del suo amore eroico."(15) La
volontà e la perseveranza nel compiere bene il proprio lavoro unite
all'incognita a volte con esito felice, che accompagna il frutto di un
incrocio fra due specie diverse, sono doti che non passano inosservate a
Darwin il quale definisce il mulo "un animale molto sorprendente. Il
fatto che un ibrido possieda più ragione, memoria, tenacia, affetto sociale,
potere di resistenza muscolare e lunghezza di vita di entrambi i suoi
genitori, sembra indicare che l'arte ha in questo caso superato la
natura."(16) |
Delle volte, come si già osservato, gli animali si
avvicinano all'uomo senza temerlo, come guidati da un moto di curiosità e
simpatia. E' il caso del culpeu, il quale "quando vede un uomo
s'incammina tosto verso lui, vi si ferma dinanzi in distanza di cinque in sei
passi, lo contempla attentamente, e quando egli non si muova, seguita a
guardarlo un buon pezzo, e poi senza fargli alcun male si ritira." Ma
questo approccio amichevole si dimostra unilaterale. L'uomo generalmente approfitta
di questa situazione di insolita disponibilità, e difatti "a dispetto
del gran numero che se ne ammazza, egli non si diparte punto dal suo sciocco
impegno."(17) |
Talvolta gli animali vengono considerati come semplici
mercanzie, altre volte sono invece associati all'idea di abbondanza, come
capita al capitano Cook che nel resoconto del suo primo viaggio, giunto a
Tahiti afferma che "non si scorgeva né un maiale né un pollastro,
scoperta poco piacevole per noi, che avevamo un'idea esaltata dell'abbondanza
che avremmo trovata al nostro arrivo in quest'isola."(18) A questo
riguardo Darwin, trovandosi in Argentina scrive che "gli animali sono
così abbondanti in queste regioni che l'umanità e l'interesse non vanno uniti
e temo perciò che la prima sia scarsamente conosciuta. Un giorno, cavalcando
nelle Pampas con un rispettabile estanciero, il mio cavallo restava indietro
essendo stanco. L'uomo mi invitò spesso a spronarlo. Quando gli feci notare
che non lo facevo per pietà, perché il mio cavallo era completamente sfinito,
egli gridò: 'Perché no? Non importa, spronatelo; il cavallo è mio.' Ebbi un
po' di difficoltà a fargli comprendere che era per il cavallo e non per lui
che non volevo usare gli speroni. Egli esclamò con uno sguardo di grande
meraviglia: 'Ah, Don Carlos, que cosa!' Era chiaro che una simile idea non
gli era mai entrata prima in testa."(19) |
Gli animali possono essere giudicati per qualità che si
avvicinano alle doti morali che generalmente vengono attribuite agli uomini.
In questi casi però si rischia di snaturare l'essenza di ogni specie
antropomorfizzandola. In verità il modo di essere degli animali è il prodotto
di milioni di anni di adattamento all'ambiente volto alla sopravvivenza, e
non è realistico considerarlo secondo categorie morali come il coraggio, la
pigrizia, l'egoismo, la lealtà, che non sono adeguate neanche per giudicare
l'umanità divisa com'è nelle sue molteplici culture e differenziata
all'interno di queste da situazioni soggette a vari condizionamenti. Non si
può tuttavia escludere che parlare degli animali in questa maniera, potrebbe
rappresentare, specialmente nel caso di Darwin, un espediente per renderli
più familiari al lettore, oppure potrebbe anche essere semplicemente un
velato e forse inconsapevole manifestarsi della passione per l'oggetto del
proprio studio. Del resto anche ai più accreditati studiosi contemporanei
capita talvolta di esprimersi in modo simile, soprattutto nelle opere di
divulgazione. |
Alcuni anni fa si è scatenata una polemica in seguito
ad un'affermazione, apparsa sulla rivista gesuita "Civiltà
cattolica", secondo cui gli animali sono egoisti, pensano soltanto ai
loro interessi e pertanto sono esseri inferiori all'uomo che invece è capace
di amare. A tale concezione si sono contrapposte svariate voci di animalisti
anche provenienti dal mondo cattolico. Aperta è la questione se gli animali
abbiano un'anima, da quando Giovanni Paolo II ha sostenuto che gli animali
partecipano "del soffio dello spirito". |
Secondo il Gemelli Careri i
leoni che si trovano in Messico (probabilmente si riferisce al puma dato che
i leoni propriamente detti non esistono in America) "non sono sì fieri,
come in Africa; ma seguitati da cani, fuggono su gli alberi."(20) |
Le Vaillant comparando il leone
alla pantera dichiara che il primo "non s'appressa mai senza
manifestarsi con terribili ruggiti, dando così ei medesimo il segnale di
difesa, come se riponesse maggiore fiducia nelle sue forze, o più nobiltà
nell'assalto. L'altra al contrario accoppia la perfidia alla ferocia, giunge
sempre inosservata, penetra con astuzia e coglie il destro; indi balzando
sulla preda, l'ha già rapita innanzi senza dare il minimo sentore del suo arrivo."(21)
Inoltre paragona alcuni animali all'indole dell'Ottentotto il quale avido
nell'abbondanza sa accontentarsi nella carestia. "Io lo assomiglio,
sotto questo rapporto all'jena od anche a tutti gli animali carnivori, che
divorano tutta la loro preda in un istante, senza pensare all'avvenire, e che
rimangono infatti per più giorni privi di cibo".(22) Ancora un raffronto
l'esploratore francese lo compie fra la natura delle scimmie e quella degli
Ottentotti. Durante una caccia alle scimmie egli osserva che mai i sani
soccorrono i feriti "per non frapporre ritardo alla comune salvezza, e
credo che tanto in essi come negli Ottentotti inseguiti in guerra la Natura
sia sempre la stessa, e che prema troppo la cura di sé per badare agli
altri."(23) Parlando dell'aquila egli si scusa con i poeti perché teme
di avvilire "la nobiltà di quel fiero volatile; ed è veramente
sconsolante cosa il vedere il sublime ministro del padre degli Dei gettarsi
vergognosamente sugli avanzi sparsi di un infetto cadavere, e farne pasto a
sazietà."(24) E, poiché non riesce a catturarle, considera insolenti
alcune scimmie cercopiteche dal muso nero, le quali a suo dire, balzano
"quasi per derisione da un albero all'altro".(25) |
De Azara assimila gli animali agli indios per quanto
riguarda l'attaccamento alle tradizioni: "niun popolo è più tenace delle
sue antiche abitudini quanto il selvaggio, simile in questo ai quadrupedi
delle contrade".(26) Parlando dei formichieri non esita a definirli
bestie "stupide e dormigliose"(27), mentre le sarighe hanno un
portamento pesante che "annunzia la loro stupidità"(28). Il Molina,
a sua volta, sostiene che il cincillà sia docile e mansueto, "sembra che
si compiaccia di essere accarezzato; se si ripone in grembo vi sta quieto e
tranquillo come se fosse nel proprio letticciuolo;" ed ecco ora
l'interpretazione di carattere morale: "questa straordinaria placidezza
però deriva forse piuttosto dalla sua pusillanimità, la quale lo rende
estremamente timido."(29) |
Von Chamisso compie una deliziosa riflessione ironica
sull'addomesticabilità delle balene, alle spalle di "un brillante
scienziato" appartenente a quella categoria di persone che pur non
conoscendo da vicino la natura degli animali si abbandonano a considerazioni,
oltremodo ottimistiche sulla possibilità che ha l'uomo di sottomettere ogni
specie vivente alla sua volontà, e di conseguenza sulla passiva disponibilità
dei viventi a lasciarsi manipolare a piacimento.(30) |
Discutendo su un piccolo rospo dell'America meridionale
di colore nero con le piante dei piedi e parte dello stomaco vermigli, Darwin
dichiara che "se fosse stata una specie ancora senza nome, certamente
avrebbe dovuto essere chiamata diabolicus, perché è un rospo molto
adatto per parlare nell'orecchio di Eva."(31) Descrivendo due volatili
cileni el turco e il tapaloco"(ossia 'copriti il
sedere')", del primo afferma che "ci vuole poca immaginazione per
credere che quest'uccello si vergogni di se stesso e si renda conto del suo
aspetto ridicolo", mentre riguardo al secondo sentenzia che "il
piccolo uccello svergognato merita il suo nome, perché porta la sua coda più
che eretta, e cioè inclinata verso la testa."(32) Ed una volpe
facilmente sorpresa alle spalle dal naturalista inglese, e da lui colpita col
suo martello da geologo mentre la malcapitata era intenta ad osservare due
ufficiali che compivano delle rilevazioni col teodolite, così viene
ricordata: "Questa volpe, più curiosa o più scienziata, ma meno saggia
della generalità delle sue sorelle, è ora imbalsamata nel museo della Società
Zoologica."(33) |
All'origine del timore irrazionale dovuto al mistero,
all'interpretare l'animale incarnazione di forze ignote, superiori e
indecifrabili, si trovano eventi pi- prosaici e quotidiani. Esistono effettivamente
dei pericoli concreti con i quali, l'uomo che viene a contatto con alcune
specie di animali, deve inevitabilmente fare i conti. Il Cavazzi, ad esempio,
assicura che una specie di formiche di colore rossiccio e bianco dette salale,
rodono "qualsivolglia materia che non sia ferro o marmo; queste entrando
in una Cassa di Panni lini, o di altra sorte, sotto spazio di
vintiquattr'hore, il tutto annientano, né vi è luogo sicuro per ripararsi da
esse (...)".(34) |
Costantemente si leggono nei resoconti, talvolta
esagerando, i danni sia alla persona che alla proprietà causati dall'impeto
degli animali più grossi e aggressivi. In mare si attribuisce addirittura ai
narvali la capacità di danneggiare seriamente le fiancate delle navi. Per non
parlare dei parassiti come topi, vermi, scorpioni, vari insetti anche
velenosi, i quali, in epoche in cui non esistono appropriate difese, causano
problemi difficilmente risolvibili, e a volte a caro prezzo. Le noie
procurate da questa categoria di animali sono ripetutamente ricordate da
quasi tutti gli autori, a testimoniare gli enormi disagi a cui andavano
incontro, trovando spesso soltanto difese provvisorie e inefficaci. |
Gli animali dei paesi esotici, costituendo una novità
come del resto i luoghi che li ospitano, di norma sono sottoposti ad un metro
di giudizio diverso da quello usato abitualmente per la fauna occidentale.
Ciò si riscontra soprattutto fra gli Europei meno dotati di una cultura
scientifica. Assai esplicativa al riguardo è la dissezione di un pesce volante,
animale che pur non appartenendo alla classe degli uccelli sembra sfidare la
legge di gravità, che Alexander von Chamisso compie a fini didattici. Ma non
allo scopo di istruire i marinai sull'anatomia dei pesci, bensì per spiegare
loro che la natura degli animali dei mari tropicali è fondamentalmente simile
a quella delle specie europee: |
"E' comprensibile che all'uomo del nord che non sa
nulla di tutto ciò, il volo dei pesci, oltre a suscitare sgomento, appaia come
uno stravolgimento della natura. Il primo pesce volante che finì sul ponte e
nelle mani dei nostri marinai, fu smembrato per essere studiato nel più
assoluto silenzio. Dopodiché i pezzi furono gettati in mare da tutte le
parti. Ciò contribuì a far svanire ogni titubanza: la curiosità eccezionale
che il fenomeno procurava al nostro equipaggio rientrò nel solito corso della
natura."(35) |
Le creature che appaiono più enormi, più feroci, più
fuori della norma o semplicemente meno conosciute, vengono sovente definite
dai viaggiatori, mostri. Esaminando l'etimologia della parola si vede che
essa deriva dal latino monstrum, ossia prodigio, segno degli dei. Ed
effettivamente le sensazioni di paura miste a meraviglia che dovettero
impadronirsi dell'animo degli esploratori, in assenza di notizie certe,
indirizzarono l'immaginazione verso qualcosa di soprannaturale o contro
natura. Cavazzi fa un largo uso del termine, e fin dall'inizio afferma
parlando dell'Africa che, quali che siano le ragioni che generano "corruzioni,
certo sta esservi copia incredibile di Mostri (...)".(36) Ma è
significativo che ancora Charles Darwin definisca mostri, gli animali
insoliti o giganteschi, pur senza ormai manifestare orrore o eccessivo
stupore. Ad esempio così scrive a proposito delle balene: |
"Una volta vidi due di questi mostri,
probabilmente maschio e femmina, che nuotavano lentamente uno dietro l'altro
a meno di un tiro di sasso dalla riva, sulla quale un faggio stendeva i suoi
rami."(37) |
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3. Indigeni |
Se si esclude qualche caso sporadico, l'amicizia fra
animali ed Europei, per quanto vogliano a volte rappresentarla grande, si
riduce sostanzialmente ad un rapporto di subordinazione. Sia che essi si
comportino da crudeli tiranni, sia che assumano un atteggiamento
paternalistico, si rivolgono all'altra parte come a creature inferiori prive
di ogni diritto che non scaturisca da benevolenza, ma che ad ogni momento gli
può nuovamente essere tolto. Non esiste una morale che tuteli i loro diritti.
In definitiva il termine padrone si addice perfettamente all'Europeo che
entra in rapporto con una bestia. Ma è altrettanto corretta questa parola per
definire il ruolo che svolge l'Indigeno nelle sue relazioni con gli animali? |
Laddove si ravvisano situazioni di accentuata
familiarità, anche volendo escludere i molteplici casi in cui subentra una
connotazione sacrale, si riscontrano rapporti più intimi e profondi di quanto
non accada con gli occidentali. Il Cavazzi riferisce una forma di
comportamento rispettoso che gli Indigeni assumono incontrando i leoni.
Naturalmente, poiché tale atteggiamento viene reputato dal missionario niente
più che una sciocca superstizione, nel racconto che ne fa tende a
ridicolizzare il tutto, presumibilmente introducendo qualche particolare
inesistente e togliendone qualcun altro realmente accaduto: |
"Avvicinatosi alquanto più la Fiera, un di coloro
cominciò in tono musicale, secondo lo stile del paese, ad arrestarla con
queste precise parole (...). Oh Signor Leone; noi sappiamo che voi siete
il Ré de gli Animali, e che tutti vi devono rispettare per tale: andate per
Amor di Dio con buona pace (...) attesoché niun di noi è ladro. Deh
lasciateci tutti illesi, essendo noi Schiavi della Regina Zingha, la quale ci
ha imposto di guidare questi Padri Cappuccini Missionarij, mandati dalla sua
Corte dal santo Papa Vescovo di Roma, (...). Nel proferirsi dal Nero
queste parole stava sù piedi fermo, ed attentissimo il Leone, e quasi
intendesse il loro significato, incurvato la cervice in segno d'ubbidire,
senz'altra violenza se ne ritornò veloce per dove era venuto. (...)"(38) |
Parlare con il leone significa attribuirgli la capacità
di intendere il linguaggio degli uomini, significa quindi elevarlo al livello
dell'essere umano. Ma c'è di più: è evidente che in questa occasione
l'animale viene posto addirittura ad un livello superiore, poiché ci si
aspetta la capacità di un giudizio morale che assolva l'uomo dal sospetto di
aver rubato. |
James Cook nel suo secondo viaggio, trovandosi a
"Uaena", non lontano da Tahiti, osserva che un maiale rappresenta
"l'occupazione prediletta di una vecchia, che lo nudriva di pasta
acidetta e fermentata del frutto-pane: è singolare l'affetto, in cui si
tengono ivi dalle donne questi animali, d'altronde sì stupidi: alcune persino
loro porgono le mammelle, il che hanno uso di fare ancora coi cani, quando
rimangono prive dei loro fanciulli."(39) E' uno di quei casi in cui
l'affetto prevale sulla gerarchia. Ma spesso l'amicizia sembra consolidarsi
in presenza di una collaborazione volta ad uno scopo pratico. A questo
proposito si riporta quanto scrive Le Vaillant sui Cafri, il loro bestiame ed
i cani da pastore: |
"Per quanto sia il Caffro attaccato al suo
bestiame non lo è esclusivamente. Un affetto dominante e che si fa anche
passione, nutre egli pel cane; ha per quell'animale delle cure e
condiscendenze eccessive, e quindi la gratitudine ne fa il migliore suo
amico."(40) |
De Azara, altresi, parlando degli indios Guanà
afferma che essi "da poco in qua sonosi provveduti di cani, ed amano
tanto questi animali, che di tempo in tempo danno ad essi da mangiare le
proprie pecore."(41) |
Il Beltrami, forse idealizzando un po', ravvisa fra gli
indiani Sauk una situazione simile a quella che doveva esistere nell'Età
dell'Oro. "L'uguaglianza di questa perfetta repubblica si allarga dagli
uomini alle bestie. I cani per quanto bastardi e discendenti dai lupi, sono
accolti alla stessa tavola dei selvaggi, sullo stesso divano, mangiano lo
stesso cibo e dormono nello stesso letto. Ho visto orsacchiotti e lontre che
facevano parte anch'essi della stessa comunità."(42) |
Sempre restando nel campo profano, sembrerebbe che a
volte che gli animali siano ritenuti più importanti degli esseri umani. Ciò
si rileva in particolare nelle zone artiche, forse a causa dell'asprezza del
clima che non consente per lunghi periodi di approvigionarsi neppure del cibo
strettamente necessario alla sopravvivenza. Nella "Storia di
America" si legge che gli abitanti della Groenlandia durante una
carestia uccidono "vecchi ed orfanelli, come persone inutili"
mentre "risparmiano i cani, che assai bene servono loro."(43)
Trovandosi nei pressi del Polo opposto, Darwin afferma che nella Terra del
Fuoco gli autoctoni "quando in inverno sono assillati dalla fame, (...)
uccidono e divorano le loro vecchie prima di uccidere i loro cani."(44)
In un'altra occasione il celebre naturalista sottolineando la maggiore
considerazione che i Fuegiani dimostrano verso i cani rispetto alle persone, sosterrà
che "l'importanza attribuita agli animali dagli abitanti della Terra del
Fuoco è dimostrata dal fatto che, in tempo di carestia, essi uccidono e
divorano le vecchie, considerate meno importanti dei cani."(45)
Ciononostante non sarebbe esatto affermare che in simili situazioni gli
animali siano in assoluto più importanti degli uomini. Intanto il
cannibalismo dei Fuegiani non è mai stato dimostrato, e comunque sia vengono
eliminati degli esseri non in quanto umani, ma in quanto non più utili all'economia
del clan. Si può bene immaginare quale sia la fine dei cani vecchi e ormai
improduttivi. Per sopravvivere conta la funzionalità, l'efficienza, e in
questo senso si può sostenere a tutti gli effetti l'esistenza di una perfetta
uguaglianza fra l'uomo e i suoi collaboratori a quattro zampe. |
Come gli Europei vengono in contatto con animali mai
visti prima, abitatori delle nuove terre, così agli Indigeni tocca in sorte
incontrare nuove specie introdotte nelle loro terre dagli Europei. La
reazione più comune ed anche la più ovvia è la meraviglia, derivata a volte
anche dal vedere il modo con cui questi "mostri" vengono
utilizzati. Come accade ad esempio ai Tahitiani che vedono per la prima volta
degli uomini a cavallo. Così scrive Cook nel suo terzo viaggio: |
"Nel ritornare che fece Otoo da Atauru il capitano
Clerk, ed io gli demmo lo spettacolo di camminare a cavallo per l'isola, e i
Taiziani che idea non avevano d'uomini portati da quadrupedi meravigliarono
sì che pareva veramente avessero veduto i centauri."(46) |
Alla meraviglia comprensibilmente si accompagna spesso
la paura come accade nelle isole Ratak, quando il capitano Kotzebue decide di
introdurvi delle capre suscitando il panico degli isolani. "I Ratakiani non
conoscevano altri mammiferi oltre ai ratti, provavano quindi un terrore quasi
invincibile di fronte alle nostre bestie: cane, porco e capre."(47)
Samuel Wallis è testimone a Tahiti di un incontro comico fra gli autoctoni ed
una capra che evidenzia al contempo la curiosità ed il timore suscitati negli
Indigeni da questo nuovo venuto. Il Tahitiano "forse al subito
presentarsi la irritò, e l'ebbe contro a modo che essa gli diede una bella
botta sulla testa. Il colpo improvviso, e più ancora la figura di quell'animale
per l'Indiano sconosciuto affatto, e il nuovo urto che la capra si provò di
dare a lui che pur voleva introdursi dentro, gli misero tale spavento addosso
che retrocedette in un attimo e tutti gli altri ne seguirono l'esempio. Però
alcun poco dopo presero spirito e ritornarono. (...)"(48) |
Segue poi il disorientamento, la confusione generata
anche dal fatto di non possedere nella propria lingua dei nomi per definire i
nuovi arrivati. "Le capre (...) sono state considerate nel Mar del Sud,
dove furono introdotte dagli Europei, alla stregua degli uccelli. E non del
tutto ingiustamente, dal momento che non essendo assolutamente né cani, né
maiali, né ratti, possono risultare soltanto pesci o uccelli, visto che qui
non esiste altro al di fuori di queste specie che hanno i loro precisi
nomi."(49) |
Superato il primo impatto accade talvolta che gli
Indigeni considerino i nuovi animali con la massima indifferenza senza
volerne sapere di allevarli od utilizzarli in vari modi. Capita anche che
nasca un'attrazione temporanea stimolata da semplice curiosità. In altre
circostanze succede invece che si accenda nei "selvaggi" il
desiderio di possedere queste bestie; fra i casi più eclatanti si ricorda la
passione dimostrata dagli Amerindi per i cavalli. |
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Note |
(1) BRESSANI
F. G., Breve relazione d'alcune missioni..., Macerata, 1653, pp. 57-8. |
(2)
Missionario e viaggiatore (1621 Montecuccoli nel Frignano - 1680 Genova).
Giunse nel 1654 nelle missioni del Congo dove rimase fino al 1667, quando
colpito dalle febbri tornò in Europa. Ma dovette ripartire perché le cose
della Missione peggioravano. La sua relazione si riferisce al primo viaggio. |
(3) CAVAZZI G.
A., Istorica descrittione de' tre Regni, Congo, Matamba et Angola,
Milano, 1690, p. 48. |
(4)
Naturalista e ufficiale dell'esercito spagnolo in Paraguay (1781-1801). |
(5) Viaggio
intorno al mondo fra il 1693 e il 1698. |
(6) GEMELLI
CARERI G. F., Giro del mondo del dottor Gio: Francesco Gemelli Careri,
Venezia 1719, tomo VI, p. 97. |
(7) GEMELLI
CARERI G. F., op. cit., tomo VI, p. 123. |
(8) 1740 Talca
(Cile) - 1829 Bologna. |
(9) MOLINA G.
I., Saggio sulla storia naturale del Chili, Bologna, 1818, p. 207. |
(10) LE
VAILLANT F., Primo viaggio di Francois Le Vaillant, Milano, 1968,
trad. F. Contarini, vol. II. pp. 164-5. |
(11) LE
VAILLANT F., op. cit., vol. III, pp. 117. |
(12) Poeta e
naturalista tedesco di origine francese (1781 Castello di Boncourt, Champagne
- 1838 Berlino). Fu naturalista di bordo nella spedizione russa sulla nave
Rurik comandata da Von Kotzebue |
(13) VON
CHAMISSO A., Viaggio intorno al mondo, Napoli, 1985, pp.59-60. |
(14) Scoprì
nel 1823 le sorgenti del Missssippi (Bergamo 1779 - Ancona 1855). |
(15) BELTRAMI
G. C., Alle sorgenti del Mississippi, Novara, 1965, p. 148. |
(16) DARWIN
C., Viaggio di una naturalista intorno al mondo, Milano, 1959, p. 367. |
(17) MOLINA G.
I., op. cit., p. 244. |
(18) COOK J., Giornali
di bordo nei viaggi di esplorazione. Il viaggio dell'Endeavour, Milano,
1971, p. 125. |
(19) |
(20) GEMELLI
CARERI G. F., op. cit., tomo VI, p. 123. |
(21) LE
VAILLANT F., op. cit., vol. I, p. 97. |
(22) LE
VAILLANT F., op. cit., vol II, p. 80. |
(23) LE
VAILLANT F., op. cit., vol. III, pp.188-9 |
(24) LE
VAILLANT F., op. cit., vol II, p. 121.. |
(25) LE
VAILLANT F., op. cit., vol. III, p. 187 |
(26) DE AZARA
F., Viaggi nell'America meridionale di D. Felice di Azara, Milano,
1817, tomo II, p. 49 |
(27) DE AZARA
F., op. cit., tomo I, p. 185. |
(28) DE AZARA
F., op. cit., tomo I, p. 199. |
(29) MOLINA G.
I., op. cit., pp. 249-50. |
(30) VON
CHAMISSO A., op. cit., pp. 91-2. |
(31) DARWIN C., op. cit., p. 109. |
(32) |
(33) |
(34) CAVAZZI
G. A., op. cit., p. 41. |
(35) VON
CHAMISSO A., op. cit., pp. 42-3. |
(36) CAVAZZI
G. A., op. cit., p. 33. |
(37) DARWIN C., op. cit., p. 256. |
(38) CAVAZZI
G. A., op. cit., p. 716. |
(39) COOK J., op. cit., tomo V, p. 125. |
(40) LE
VAILLANT F., op. cit., p. 65. |
(41) DE AZARA
F., op. cit., tomo II, p. 157. |
(42) BELTRAMI
G. C., op. cit., p. 29. |
(43) Op. cit.,
vol. 14, p. 142. |
(44) DARWIN C., op. cit., p. 246. |
(45) DARWIN
C., L'origine delle specie (tit. orig.: The origin of species),
trad. Celso Balducci, Roma 1977, p. 80. |
(46) COOK J.,
op cit., tomo VI, p. 222. |
(47) VON
CHAMISSO A., op. cit., p. 126-7. |
(48) WALLIS S., op. cit., tomo II, pp. 29-30. |
(49) VON
CHAMISSO A., op. cit., p. 125. |
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