Per
tentare di rispondere al presente quesito, mi limito a proporre due punti di
vista: uno di stampo illuministico, e l'altro più banalmente attuale.
1) Giuseppe Parini (scrittore e poeta del XVIII secolo) nel "Discorso
sopra la poesia", ci dice che il fine dell'arte poetica consiste
principalmente nel produrre diletto, ossia piacevoli sensazioni. Inoltre, a
proposito della sua utilità, Parini sostiene che la poesia non è necessaria
come il pane, né utile come l'asino; tuttavia, se usata bene, può rendere
felice l'uomo, poiché anche il piacere estetico contribuisce alla felicità
pubblica e privata. Inoltre può avere un'utilità morale; difatti,
analogamente alla religione, alla legge e alla politica, alla poesia si può
attribuire un valore etico, di impegno civile e sociale.
2) Nella nostra civiltà tecnologica, materialistica, arida, che spinge ognuno
di noi alla ricerca spasmodica di un tornaconto economico, più che mai la
poesia assume un ruolo centrale, volto a consentire all'uomo di
riappropriarsi della sua dimensione spirituale, creativa, "fanciullina”.
Un corollario del secondo punto, potrebbe essere rappresentato semplicemente
dall'esigenza di comunicare e dalla necessità di emanciparsi da uno stato di
solitudine interiore.