Buddha significa “Risvegliato”,
dunque colui che è considerato il fondatore del Buddhismo, acquisì questo titolo
solo dopo aver conseguito l’illuminazione. Il suo patronimico è Gautama, mentre il nome è Siddharta
(“Colui che raggiunge lo scopo”)1.
Sebbene le diverse
tradizioni buddhiste offrano differenti datazioni degli eventi, si può
affermare che Siddharta nacque nel VI
secolo a. C.,intorno al 560, a Kapilavastu, una località
dell’India settentrionale, non molto distante dall’odierno confine con il
Nepal, 225 km a nord di Benares (Varanasi). Era un principe della famiglia
dei Sakya (i potenti) da cui l’appellativo di Sakyamuni (Asceta dei Sakya). Un altro epiteto con cui fu
designato in seguito è Tathagata,
ossia “Colui che è in possesso della verità”.
La sua famiglia, nella
persona di Suddhodana, il padre, capeggiava un piccolo stato; apparteneva
alla casta dei guerrieri, che in concreto deteneva la supremazia nell’ambito
della società indiana.
Si racconta che numerosi segni prodigiosi accompagnarono la sua venuta al
mondo. Tra questi, significativo è il sogno che fece la madre, Maya, poco
prima che Siddharta nascesse. Si tratta di un elefante bianco con sei zanne
che, tra cori inneggianti, entra nel corpo della donna, conferendole un senso
di profonda beatitudine e la consapevolezza che non avrebbe mai più provato
sofferenza. I saggi, chiamati ad interpretare il sogno, dissero che il
nascituro sarebbe diventato o un grande imperatore o un grande maestro che
avrebbe insegnato la via della verità a tutti gli esseri. Siddharta venne
alla luce mentre Maya era in viaggio. Un asceta di nome Asita giunse a
palazzo e predisse che il bambino avrebbe rinunciato ad ogni bene mondano e
sarebbe diventato un grande maestro della via spirituale per il bene degli
uomini. Una settimana dopo la nascita, sua madre morì.
Suddhodana cercò in ogni modo di impedire che la profezia del sant’uomo si
avverasse, circondando il figlio di ogni piacere e mettendogli a disposizione
tre castelli.
A sedici anni sposò la
cugina Yasodhara, dalla quale tredici anni più tardi ebbe un figlio, Rahula.
La vita di Siddharta procedeva fra delizie di ogni genere, e suo padre
attuava mille precauzioni affinché la vista del principe non venisse turbata
dalle manifestazioni della sofferenza umana. Ma tutto risultò vano: Siddharta
incontrò un vecchio, un malato, un morto e un asceta: i primi tre
simboleggiano la fugacità mentre il quarto ne rappresenta il superamento,
prospettando la serenità dello spirito. Ebbe così la triste rivelazione della
condizione del mondo terreno.
Il principe, lo stesso
giorno della nascita di suo figlio, abbandonò nottetempo il castello
accompagnato dal suo scudiero che cercò invano di dissuaderlo. Quando si rese
conto che eventuali inseguitori non avrebbero più potuto raggiungerlo, si
tagliò i capelli con la spada, scambio le proprie vesti con gli abiti laceri
di un cacciatore e infine rimandò a Kapilavastu lo scudiero con il suo
cavallo.
A questo punto Siddharta divenne Sakyamuni (l’asceta dei Sakya), e si recò
presso il celebre maestro Arada Kalama, praticando l’ascetismo e lo yoga. In
seguito andò a Rajagrha, dopo che il re Bimbisara gli aveva offerto la metà
del suo regno in cambio della sua dottrina. Naturalmente Siddharta rifiutò, e
divenne discepolo di Udraka Ramaputra. Insoddisfatto, si allontanò seguito da
cinque monaci, fermandosi nella foresta di Uruvilva, una località
particolarmente adatta alla meditazione. Qui visse per sei anni, spingendo
all’estremo le pratiche ascetiche, arrivando a conseguire una condizione di
morte apparente, finché non comprese che logorando l’organismo non avrebbe
raggiunto una maggiore luce dello spirito, anzi, constatò che in questo modo
si annientava ogni capacità del pensiero. Quindi riprese a nutrirsi,
abbandonato dai cinque discepoli, delusi per la sua rinuncia alla
mortificazione della carne.
Tornarono a farsi vivi
gli stimoli e le tentazioni dei sensi, rappresentati simbolicamente da Mara,
il dio della morte, della lussuria e della seduzione, qualcosa di simile al
Satana della tradizione giudaico-cristiana. Seduto in meditazione all’ombra
di un albero di “ficus religiosa”, chiamato albero della Bodhi (l’Albero del
Risveglio), raggiunse l’illuminazione,
riconoscendo le Quattro Nobili Verità:
1) la realtà del mondo è sofferenza; 2) l’origine della sofferenza è il
desiderio, o attaccamento alla vita; 3)la liberazione dalla sofferenza è
possibile mediante l’estinzione del desiderio; 4) esiste una via che conduce
alla cessazione della sofferenza: la Legge (Dharma).
A questo punto Mara si fece di nuovo avanti per invitare il
Buddha a non divulgare la sua scoperta, limitando così la propria sconfitta.
Naturalmente l’Illuminato respinse la proposta, la cui accettazione avrebbe
significato una scelta egoistica in palese contrasto con la sua dottrina
basata sul superamento dell’Io individuale e sulla compassione.
Dopo un periodo
di profonda ricerca sulla difficoltà di insegnare un messaggio difficile da
comprendere, si risolse, mosso da profonda compassione, a divulgarlo. Non poté comunicare la sua scoperta ai suoi due
primi maestri, ai quali era legato da sentimenti di gratitudine, poiché erano
morti; ma a Benares rincontrò i suoi cinque discepoli e li rese partecipi
della nuova dottrina. Riuscì a persuaderli alla conversione attraverso il
celebre discorso di Benares, considerato la quintessenza della Dottrina di
Liberazione.
Durante circa quarant’anni di predicazioni, il Buddha convertì intere
popolazioni, re, brahmani e anacoreti, nonché molti membri della sua famiglia
fra cui la moglie, la zia che gli aveva fatto da madre e il figlio che
divenne uno dei suoi principali discepoli . Nella vecchiaia dovette
fronteggiare il tentativo di suo cugino Devadatta, di impadronirsi della
guida della comunità. L’impresa non riuscì ma Devadatta operò uno scisma
dando vita a una setta di cui restò traccia fino al VII secolo d. C. Morì probabilmente
nel 480 d. C. all’età di circa ottanta anni, a Kusinagara, assistito dal
discepolo Ananda.
All’epoca della sua morte, l’insegnamento del Buddha era già così diffuso che
molti discepoli, per le grandi distanze, non conoscevano il Maestro di
persona. Dopo la sua morte la dottrina si diffuse rapidamente in tutta
l’Asia.
P.S.:
nel raccontare la vita di Siddharta ci siamo attenuti alla tradizione
buddhista.
Occorre precisare, per onestà intellettuale, che secondo
alcuni studiosi, tale versione potrebbe non coincidere, per taluni aspetti,
con la biografia del Buddha storico.
1 Da non confondere con il protagonista del famoso romanzo
di Herman Hesse, “Siddharta” appunto, che non è il Buddha, ma un suo
contemporaneo (nato dalla fantasia dell’autore), il quale nel corso della
narrazione avrà modo di incontrare di sfuggita il suo più illustre omonimo.
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